Con quale logica narrativa gli eventi incerti, imprevisti, entropici, vengono articolati in un’autobiografia?
Entropia è una denominazione derivante dalla termodinamica e dalla fisica, successivamente applicata ad altri campi afferenti alle scienze umane. Includere nelle ipotesi teoriche e nella conduzione delle relative ricerche eventuali agenti di disordine è oggi pratica corrente delle procedure scientifiche. Diverse autobiografie di scienziati assumono questa prospettiva (Cfr: Mnemosyne, o la costruzione del senso n. 6 e 7www.i6doc.com).
Se l’entropia è parte consustanziale dell’universo e di ogni vita, ciò che qui interessa è come questo disordine venga reso plausibile e strutturato in un racconto di sé.
Le narrazioni in prima persona integrano il disordine, l’inatteso, l’irreversibile, attraverso varie concezioni e vari registri: dal letterario-filosofico (cfr. più avanti Diderot), a quello psicologico (si veda del magistrato Daniel Paul Schreber, Memorie d’un malato di nervi, 1903, che ha inteso trarre delle coordinate attraverso note rigorosamente logiche sulla sua patologia); all’artistico come nel lavoro di Sophie Calle Où et quand (2008): «Avevo proposto a Maud Kristen, veggente, di predire il mio futuro al fine di andargli incontro, di anticiparlo giocando sulla rapidità»; al mistico come nelle note autobiografiche di un pellegrino, viaggiatore senza meta del XIX secolo, che porta con sé il libro Filocalia, e perennemente rassegnato considera estraneo tutto ciò che gli accade. Su questo testo scrive Pasolini: «Non c’è nulla che dia tanto torto al potere quanto la Rassegnazione, che è poi il rifiuto del potere sotto qualsiasi forma (cioè lo rende quello che esso è in realtà, cioè un’illusione)». (Pasolini,P.P., 1973).
In dei racconti popolari si constata a volte che l’eventuale, l’imprevisto, entrino a far parte in maniera logica delle difficoltà crescenti per raggiungere la meta desiderata. Seguendo ancestralmente la struttura delle favole di magia (Propp V., 1928) - uno fra altri esempi - un contadino costruisce in una visione epica il suo fidanzamento (Barbalato B., 2006).
Nell’antichità l’inatteso veniva evocato con la parola fato.
Volentem ducunt fata, nolentem trahunt (Seneca, ep. XVII-XVIII). Il fato conduce colui che vuole lasciarsi guidare, trascina chi non vuole. È un'affermazione che invita alla totale passività? No, è un modo per entrare nella logica di una vita che si sottrae a progetti ante res. Nietzsche definisce amor fati la prerogativa etica e intellettiva di assumere tutto ciò che accade nell’esistenza. Critica la genealogia, la filologia, discipline che si danno per obiettivo di trovare le origini, allineando a questo scopo verticalmente i dati del sapere.
Presentiamo, a mo’ di esempio, alcuni scritti – tra i tanti possibili – che si configurano in tre tipologie ben distinte di costruzione discorsiva autobiografica, e che inglobano nella logica del testo l’entropia: Le neveu de Rameau de Denis Diderot, Il castello dei destini incrociati di Calvino, e Autoreferat del matematico ed esperto dell’arte delle icone Pavel Florenskij. Ognuno di questi autori adotta un metodo per circoscrivere l’eventuale, imbrigliandolo in una precisa argomentazione.
Il dialogo come agente maieutico
Le neveu de Rameau ou La satire seconde (1762 et 1773) è un’opera di Diderot, che si iscrive nella grande tradizione del dialogo come strumento di dialettica e di confronto.
Moi (Diderot) e Lui, il giovane nipote del noto musicista Rameau (la cui identità ci viene rivelata nelle sue coordinate deittiche solo alla fine), confrontano i loro stili di vita divergenti. Moi e Lui interpretano l’autore-narratore e il suo alter ego il cui temperamento lo trascina di qua e di là, in modo disarticolato a seconda di circostanze metereologiche, vestimentarie, alimentari. Neanche il suo aspetto esterno ha continuità: «Nulla è dissimile più di lui che lui stesso» (Diderot D., 1862: 3).
Fra le battute iniziali, le Moi dice: « [...] I miei pensieri sono le mie prostitute» (Ibid.: 2). Benché Diderot si riconosca come un uomo solitario, si esteriorizza nella frequentazione ‘erotica’ dei suoi pensieri.
L’incontro con un Lui così differente e senza principi, permette a Diderot un’apertura verso la diversità, mettendo a confronto le sue idee ispirate al razionalismo e ad una morale ferma, con il giovane Rameau, incostante e volubile. Attraverso il dialogo si rivela la fecondità dello scambio, del métissage fra due visioni in linea di principio opposte. Il mettersi in relazione fa affiorare delle similarità nel concepire il significato dell’esperienza come creazione nell’hic et nunc. La linea diritta dei principi su cui Diderot conia la sua esistenza si trasforma in una linea a zig zag.
In questo dialogo ricorrono parole come ibrido, lievito, fermentazione, che ricordano il vocabolario scientifico che Diderot aveva ampiamente impiegato in un altro testo Le rêve de d’Alembert che argomentava, tra l’altro, sulla purezza delle specie in botanica e nel mondo animale, sull’incongruità di ingessati e astratti principi morali e del non rispetto di una natura varia e molteplice, piena di contaminazioni. «La perfezione consiste nel conciliare questi due punti» (Diderot D., 1876 : 6) [estate 1769].
Diderot, un diable de ramage di Jean Starobinski, (diavolo colui che divide, termine citato ventisette volte nel testo di Diderot), mostra come il senso della vita sia il risultato dell’interazione del filosofo e dello ‘stravagante’, dell’ordine e del disordine. Esteriorizzare, discutere, permette di conoscere, di approdare a una consapevolezza più profonda («le savoir désocculte», scrive Starobinskij. (2012: 117).
Le figure del chiasmo, dell’anadiplosi, dell'antitesi, in Diderot, costituiscono delle strategie linguistiche che ancorano il tempo della riflessione al presente, ponendo sullo stesso piano gli opposti.
Il gioco dei tarocchi, elegia dell’entropia
La divinazione e la sua im/plausibilità è al centro di molte opere. Dürrenmatt tratta questo argomento ne La morte della Pizia (1988), sotto il registro del grottesco.
Autobiografico e divinatorio è il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, un parco dove la sua opera multicolore gioca col suo sé e coll’interpretazione del destino:
https://it.wikipedia.org/wiki/Giardino_dei_Tarocchi,
A questo tema è consacrato il libro di Italo Calvino Il castello dei destini incrociati, composto da una prima parte sui tarocchi viscontei del sec. XV, pubblicata nel 1969, a cui farà seguito, qualche anno dopo, una seconda parte La taverna dei destini incrociati sui tarocchi di Marsiglia del 1761. In un universo tardo medievale delle persone sperdutesi in un bosco si rifugiano in un castello, accorgendosi di non avere più la facoltà di spiegarsi a viva voce. Uno dei presenti inaugura il racconto di sé attraverso il gioco dei tarocchi: «ci parve di capire che con quella carta egli voleva dire ‘io’ e che si accingeva a raccontare la sua storia» (Calvino I., 1994: 8). Posizionando carta dopo carta, egli però si trova – senza parlare e dunque come lettori siamo affidati all’interpretazione del narratore – di fronte ad un insieme che disdice il percorso del suo destino così come egli aveva inteso comunicarcelo, e si ritrova imbottigliato in una fine senza scampo. Calvino attribuisce alla carta della Papessa queste parole, mentre il bel giovane che si raccontava attraverso i tarocchi appare sconcertato: «Ora il bosco ti avrà. Il bosco è perdita di sé, mescolanza. Per unirti a noi devi perderti» (Ibid.: 15). Sebbene, dunque, il primo intervenente inizi il suo percorso recitativo pensando di governarlo, si trova dal contesto dei tarocchi governato. La sua previsione si scontra con l’imprevedibile che scaturisce dalla combinatoria delle carte che assumono significati diversi in relazione alla loro posizione d’insieme. Capita che altri commensali – raccontandosi, – usino le stesse carte, che, come in un cruciverba (Ibid.: 43), intersecano in orizzontale quelle narrazioni che si sviluppano in verticale. Il significato di ogni figura è dunque virtualmente polisemico perché è determinato dal rapporto che intrattiene con le altre figure. Secondo Calvino i tarocchi sono una macchina narrativa combinatoria, e attraverso questo gioco letterario permette ai tanti io presenti nel castello di illudersi di costruire la propria storia senza ahimé riuscirci.
Nelle mete divaricate di questi destini si coglie l’influenza de «Il giardino dei sentieri che si biforcano» di Borges (2014. [1944]). Calvino, inoltre, conosceva diversi studi sulla cartomanzia come motore narrativo (Likomceva M. I., Uspenskij B.A., 1969).
Alcuni presenti cercano di riconoscersi in noti personaggi letterari dalle storie già scritte, ma questi vogliono uscire dal loro destino codificato, disdegnandolo.Orlando, disceso nel cuore caotico delle cose viene contemplato nell’ultima carta come L’Appeso, a testa in giù, finalmente sereno: «Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro ed ho capito. Il mondo si legge all’incontrario. Tutto è chiaro» (Ibid.: 36).
Raccontare il proprio destino, dunque, è impossibile, non può concretizzarsi in un processo lineare perché si scontra con la logica combinatoria dei tarocchi, dove neanche i personaggi già scritti come Orlando, Astolfo, Faust o Parsifal intendono o possono restare nei ranghi dei racconti conosciuti. Questo far entrare in gioco personaggi letterari ricorda il celebre gioco dei surrealisti, che, nel 1940-1941 a Marsiglia, avevano creato dei ritratti di artisti, reinventando il gioco dei tarocchi, alla cui base insomma vi era il tema della divinazione e dell’identità.
L’explicit di Calvino è erede del De rerum natura di Lucrezio (II, 112-141):
«[...] Una guerra senza fine agita l’universo fino alle stelle del firmamento e non risparmia gli spiriti né gli atomi. Nel pulviscolo dorato sospeso nell’aria, quando il buio di una stanza è penetrato da raggi di luce, Lucrezio contemplava battaglie di corpuscoli impalpabili, invasioni, assalti, giostre, vortici... » (Ibid.: 47-48). Di Lucrezio Calvino parla ne «La leggerezza», la prima delle Lezioni americane (Calvino I., 1988).
L’entropia versus la prospettiva
Diverse riflessioni di scienziati, storici dell’arte, antropologi, portano su una visione spaziale più che temporale e progressiva di un percorso di vita, dove la contiguità vince sulla continuità.
Nel ricostruire una storia delle linee, l’antropologo Tim Ingold mette in evidenza come la geometria abbia visto dominare il pensiero euclideo che considera la linea come vettore primario della stessa percezione dello spazio: «Euclide credeva che gli occhi emettessero dei raggi per illuminare gli oggetti che incontravano, e per questo li descriveva sotto la forma di linee diritte che collegavano l’occhio all’oggetto» (Ingold T., 2014: 206, ed. fr. ). Tutte le leggi sull’ottica si basano su questa concezione arbitraria.
La civiltà occidentale ha esaltato la linearità come fattore specifico dell’evoluzione. L’Homo sapiens sapiens marcia diritto, parola che ha significazioni anche etiche. La parola tortuoso, deviante, ha nella nostra storia della cultura generalmente una valenza negativa. Un traguardo diventa nel progetto di vita molto più importante che un tragitto (Ibid.: 118).
Questa visione critica era stata il cuore del pensiero di Pavel Florenskij (1882-1937) matematico e filosofo, che si presenta in terza persona in qualche pagina autobiografica «Autoreferat» scritta per un’enciclopedia (1925-1926):
«A legge fondamentale del mondo Florenskij elegge il secondo principio della termodinamica, la legge dell’entropia, che egli accoglie in senso lato quale legge del Caos in ogni luogo del creato. A questa dinamica del mondo si contrappone il Logos o principio dell’ectropia. La cultura è la lotta consapevole contro l’appiattimento generale; la cultura è il distacco quale resistenza di livellamento dell’universo, è l’accrescersi della diversità di potenziale in ogni campo che assurge a condizione di vita, è la contrapposizione all’omologazione, sinonimo di morte» (Florenskij P., 2007: 6).
Florenskij ha indirizzato tantissime e intensissime lettere alla famiglia. Ne emerge un’autobiografia ricchissima: la cronaca della sua prigionia, l’osservazione del contesto pongono sullo stesso piano il piccolo come il grande, l’osservazione minuta della natura, i ricordi evocati come una miniera a cui attingere per il futuro.
La visione di Florenskij nei suoi scritti autobiografici trova un importante fondamento nei suoi studi sulla prospettiva rinascimentale e sullo spazio euclideo. Secondo Florenskij la visione della realtà, la propria esperienza si arricchiscono estraniandosi dalla visione prospettica e da una concezione euclidea dello spazio, che formula leggi astratte e schematiche tirate a stento dalla concreta esperienza. Nessuna gestualità ha senso se inscritta nello spazio euclideo omogeneo, infinito, isotopico. Lo spazio è anatropico (Florenskij P:, 1993: 236).
Queste convinzioni nascono in Florenskij anche dai suoi studi sull’iconostasi e sulla concezione dello spazio e del tempo nell’arte figurativa. La prospettiva more geometrico è un’invenzione del Rinascimento italiano che ha razionalizzato la raffigurazione del visibile (Florenskij P.,1977 e 2003). Invece nell’arte delle icone ogni spettatore può scegliere la propria singolare prospettiva, secondo il suo sentire e il suo modo di contemplare. Stupore e dialettica, insomma (Florenskij P., 2013). Ogni scritto autobiografico di Florenskij è una lezione che orienta verso la singolarità, la discontinuità, l’entropia.
Le proposte che attendiamo possono provenire da varie discipline dalla letteratura, dal cinema (si pensi fra molti altri film a ‘Les favoris de la lune’, d’Otar Joseliani: 1984), dal mondo scientifico, e da altri campi ancora, e dovranno analizzare la forma delle narrazioni autobiografiche, come vengano legittimati e articolati ordine e disordine, come vengano ancorati o meno degli imprevisti e delle incertezze ad un filo conduttore.
Theodor W. ADORNO, The Stars Down Earth, Fankfurt am Mein, Suhrkamp Verlag, 1975.
[1957].
ANONIMO, La via di un pellegrino. Racconti sinceri di un pellegrino al suo padre spirituale, tr. Di Alberto PESCETTO, Milano, Adelphi, 1972.
Beatrice BARBALATO, «Telling It Like It Is: Autobiography as Self-definition and Social identification» avec K. EBLE, in From the margins of the cutting edge – Community media and Empowerment, Hampton, NY, 2006.
Jorge Luis BORGES , «Il giardino dei sentieri che si biforcano», in id. Finzioni, Einaudi, Torino, 2014. [1944].
Sophie CALLE, Où et quand, Arles, Actes du Sud, 2008.
Italo CALVINO, Il Castello dei destini incrociati, Milano, Mondadori, 2016. [1969].
I. CALVINO, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Garzanti, 1988.
Denis DIDEROT, Le neveu de Rameau, Intr. de Charles Asselineau, Paris, Paulet-Malassis, Libraire-éditeur, 1862.
D. DIDEROT, (été 1769), «Suite de l’entretien», in Œuvres complètes de Diderot, Éd. Assézat Tourneux, Paris, Garnier Frères, 1875, tome 2.
http://classiques.uqac.ca/classiques/Diderot_denis/diderot_denis.html
Friedrich DÜRRENMATT,La morte della Pizia, trad. di Renata COLORNI, Milano, Adelphi, 1988) [Das Sterben der Pythia, 1976].
Pavel FLORENSKIJ, «Autoreferat», in (a cura di) N. VALENTINI e A. GORELOV, Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, trad. de Claudia ZONGHETTI, Milano, Bollati-Boringhieri, 2007.
P. FLORENSKIJ, La prospettiva rovesciata e altri scritti, a cura di Nicoletta MISLER, trad. di Carla MUSCHIO e Nicoletta MISLER, Roma, Gangemi, 2003.
P. FLORENSKIJ, Le porte regali. Saggio sull’icona, a cura di Elémire ZOLLA, Milano, Adelphi, 1977. [1922].
P. FLORENSKIJ, Lo spazio e il tempo nell’arte, a cura di Nicoletta MISLER, Milano Adelphi, 1993. [1923]
P. FLORESKIJ, Stupore e dialettica, a cura di N. VALENTINI, trad. di C. ZONGHETTI, Macerata, Quodlibet, 2013 [ Dialektika 1918-1922).
Danièle GIRAUDY, Le jeu de Marseille: autour d'André Breton et des surréalistes à Marseille en 1940-1941, Éditions Alors hors du temps, 2003.
Tim INGOLD, Une brève histoire des lignes, Zones sensibles, 2014. [2007]
M.I. LEKOMCEVA, B.A.USPENSKIJ, «La cartomanzia come sistema semiotico», in Il sistema dei segni e lo strutturalismo sovietico, in (a cura di) Remo FACCANI e Umberto ECO curatori, Milano, Bompiani, 1969.
Pier Paolo PASOLINI, «‘Come pregare?’ ‘Come mangiare?’ Esperienze di un Prete e di un Letterato», in Il Tempo, 11 febbraio 1973. [Sull’Anonimo citato supra].
Daniel Paul SCHREBER, Memorie di un malato di nervi, trad. di F. SCARDANELLI e S. DE WAAL, Milano, Adelphi, , 2007 [1903].
Jean STAROBINSKI, Diderot, un diable de ramage, Paris, Gallimard, 2012.
https://it.wikipedia.org/wiki/Giardino_dei_Tarocchi
Sul gioco dei tarocchi dei surrealisti:http://www.andrebreton.fr/series/127
A) Scadenza per presentare le proposte: 20 febbraio 2018. La sinossi comprenderà 250 parole (max), con la citazione di due testi di riferimento, e un breve CV (max : 100 parole), con la menzione eventualmente di due pubblicazioni proprie, siano esse articoli o libri.
Il comitato scientifico sarà preposto a leggere e selezionare ogni proposta che sarà inviata alla pagina conference registration del sito dihttp://mediapoliseuropa.com/
Per eventuali informazioni potete rivolgervi a:
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B) Entro il 28 febbraio 2018 sarà data la risposta definitiva sull’accettazione.
LE LINGUE AMMESSE PER GLI INTERVENTI: Francese, Inglese, Italiano, Spagnolo
C) Per le quote di iscrizione e per le informazioni sui simposi dei precedenti anni, sulle attività, l’équipe organizzatrice e scientifica, visitare il sito:
L’associazione Mediapolis.Europa coopera alla pubblicazione della rivista Mnemosyne, o la costruzione del senso, Presses universitaires de Louvain,www.i6doc.com
Indicizzata come rivista scientifica in
https://dbh.nsd.uib.no/publiseringskanaler/erihplus/periodical/info?id=488665
Comitato scientifico
Beatrice Barbalato, Mediapolis.Europa
Fabio Cismondi, Euro Fusion
Antonio Castillo Gómez, univ. Alcalá de Henares (Madrid)
Irene Meliciani, Mediapolis Europa
Albert Mingelgrün, Université Libre de Bruxelles
Giulia Pelillo-Hestermeyer, Universität Heidelberg
Anna Tylusińska-Kowalska, Uniwersytet Warszawski
Organizzazione
Irene Meliciani, Managing director Mediapolis.Europa
PAST EVENTS
- Mediapolis.Europa in radio fahrenheit
- Prof Beatrice Barbalato à France Culture La conversation scientifique