Egemonia e perifericità nelle scritture autobiografiche:
testi, contesti, visibilità
XXII simposio dell’Osservatorio scientifico
della memoria autobiografica scritta, orale, iconografica
Academia Belgica, Via Omero 8 ROMA
5, 6, 7 dicembre 2023
Promosso e organizzato da :
Mediapolis.Europa ass. cult.
e dal
Grupo de Investigación « Lectura, Escritura, Alfabetización» (LEA), Universidad de Alcalá
Seminario Interdisciplinar de Estudios sobre Cultura Escrita (SIECE), Universidad de Alcalá
La documentazione autobiografica e più in generale privata è oggi tenuta in gran conto, e negli ultimi decenni si sono moltiplicati gli archivi per la loro conservazione, mentre restano meno soddisfacenti - ci sembra - gli studi indirizzati allo studio delle loro forme, un aspetto fondamentale per comprendere non solo il contenuto, ma il modo di coniare un documento, una testimonianza, e a come si è pensato di renderli trasmissibili e comparabili.
Alcune domande al riguardo:
- I testi di scrittori e di scriventi sono sottoponibili agli stessi metodi di analisi formale?
- In che modo in un testo autobiografico traspare il concetto di egemonia ?
- Come salvaguardare e valorizzare la memoria?
- Si può osservare la società attuale con una distinzione netta fra strati sociali ? quale terminologia adottare nel designarli?
- Come si interfacciano le opere di scrittori e quelle di scriventi ?
- In quale misura la rivoluzione digitale ha esteso la pratica autobiografica e come la transforma?
Sottoporre agli stessi criteri metodologici i vari corpus a prescindere da designazioni di contenuto o di derivazione sociale appare un intento ragionevole. La storia della cultura e della scienza insegna come il passaggio dall’elencazione alla classificazione nel XVII secolo, come illustra Foucault (1966: 137-176), abbia permesso di rendere comparabili i dati scientifici.
Di seguito alcuni punti che sono enunciati al fine di suggerire alcune delle possibili tracce intorno alle quali elaborare una linea di ricerca.
1-Riconoscersi in una cultura minore. Il tema delle egemonie è stato trattato da Antonio Gramsci (1975). L’osservazione secondo la quale chi esercita un’egemonia tende a rendere conformi e dunque coese e comparabili la lingua e ogni forma di espressione, contrasta con la pluralità delle culture minori, meno facilmente inscrivibili in delle costanti formali. Sulle molte attività archivistiche sviluppate soprattutto dall’inizio del Novecento per conservare queste fonti e sull’importanza ormai ampiamente riconosciuta esiste una vasta documentazione, illustrata e argomentata tra altri da Antonio Castillo Gómez (2022). Proprio la derivazione spuria di queste fonti rende più difficoltosa una classificazione formale dei testi. Almeno ad un primo sguardo.
Gli scriventi non hanno come obbiettivo il perseguimento di uno stile, a differenza degli scrittori, come sottolinea Barthes (1996 : 153). Per scriventi non deve necessariamente intendersi la gente comune. Leonardo da Vinci si considerava uno scrivente e non uno scrittore un “omo sanza lettere”, come egli stesso si definisce scrivendo a Ludovico il Moro nel 1482. Non conosceva bene il latino, e per questo veniva considerato un non letterato.
Il libro Kafka. Per una letteratura minore (G. Deleuze-F. Guattari 1975), porta a riflessioni fondative su questo tema, che dovrebbero costituire un nuovo alfabeto per la concezione stessa del termine cultura. In questo testo Deleuze e Guattari mettono in risalto come l’essere senza radici, deterritorializzati, porti non ad un impoverimento del pensiero e delle espressioni, ma piuttosto a esplorare stando ai margini, ai confini: un distanziamento che permette di intravedere nuove forme lessicali, concettuali aperte allo scambio. Ogni cultura minore (oggi moltiplicate grazie alle tante lingue circolanti, alle plurime forme di convivenza necessarie in un mondo in movimento) può costituire lo strumento per non irrigidire la cultura in apparati.
La cultura minore sviluppa dei linguaggi e una concezione dello spazio: labirintico, deconfinato, suggerendo così nuove prospettive.
Chi si sente dunque legittimato a scrivere? come rendere circolari, feconde esperienze che non vengono da uno stile canonico? In questa visione gli archivi e le testimonianze scritte di gente comune non devono essere considerati semplici territori di caccia, ma testi nel senso stretto del termine. Chasse aux archives chiama Philippe Lejeune la voracità verso i testi di culture minori e testimoniali: « L’idea che in qualche generazione si manometteranno i vostri testi per trarne delle informazioni qualunque su qualsiasi soggetto, senza sapere di cosa di parli [...] sarebbe disgustoso. Per evitare questi malintesi, metterei ben in evidenza ‘Proibita la caccia’» (Ph. Lejeune 2005: 120-121).
2-Lontano da dove ?
Il sentirsi parte o meno di un’entità egemonica nel caso di scrittura autobiografica si può intravedere nella posizione che il soggetto assume, manifestando di essere o meno parte integrante di un centro o di una periferia Non si tratta solo di una marginalità considerata su basi sociali, ma ben più articolatamente di una visione della propria lingua e cultura nella loro possibilità di contare in un contesto (Fabio Dei 2018).
Come un individuo concepisce una sua centralità ? come, quando, e come è possibile circoscrivere la posizione di uno scrivente che narra la propria vita? Come l’assunzione di una determinata postura definisce una narrazione autobiografica, la legittima, la struttura anche in vista di uno sguardo esterno, di una visibilità reale, immaginata o ricercata? Come l’io narrante adotta una prospettiva di introiezione o d’extimité, centripeta o centrifuga?
3-Semantica del testo autobiografico
L’io narrante si manifesta attraverso delle espressioni che testimoniano della sua posizione socio-culturale e topografica, e che lo inscrivono in determinate categorie spazio-temporali.
Come scrivono George Lakoff e Mark Johnson (2004 [1980]), nella ricerca Metafora e vita quotidiana (si veda il paragrafo « L’orientamento IO-PER PRIMO ») la nostra maniera di raccontare si modella su dei modus pensandi. Tutta una concezione culturale governa queste forme di espressione, dove l’individuo modula il racconto di sé e si posiziona in rapporto al mondo circostante.
L’ordine delle parole è stato oggetto di studio da parte di William Cooper & John Robert Ross. (1975). Anche la scelta della lingua materna o dell’altro e le sue modellizzazioni sono indizi della postura dell’io. Così come le foto, gli autoscatti, sempre più diffusi, segnalano il modo di volersi rappresentare.
In altre parole, l’ “lo” “io” nell’adottare un registro scritto o audiovisivo, permette di comprendere come e dove egli si ubichi. Le immagini foto o video ne definiscono l’autografia.
La lingua, come ogni forma di espressione, è un sistema costituito da relazioni. Per comprenderne il senso è necessaria una mappatura, che può essere delineata attraverso dei contenuti o dei vuoti: analizzare l’uso dei linguaggi si rivela uno strumento per profilare non solo le relazioni stabilite ma potenziali (L. Hjelmslev 2009). Le espressioni iconografiche come i selfie, e quelle su internet (P.
Sibilia 2008) rispettano la stessa tenuta: mostrare o non mostrare rivela la volontà non solo di raccontarsi nel presente, ma di prospettare ciò che si vorrebbe essere. La lingua, sostiene nello stesso passaggio Hjelmslev, si costituisce in un intreccio di luoghi vuoti fondato su una vera e propria differenza di potenziale.
4-La posizione dell’io e il linguaggio riferito al corpo
Un esempio: nei pazienti psichiatrici, marginali per antonomasia, le espressioni orali, scritte, grafiche sono molto ancorate al corpo, ad azioni fisiche.
Come scrive Binswanger, psichiatra con una lunga esperienza di dialogo coi pazienti:
«Cadere dalle nuvole», «sentirsi al settimo cielo» sono delle locuzioni del nostro Dasein, il nostro esserci. E anche se i miti, la poesia, permettono di condividere attraverso un linguaggio metaforico universalizzante le sensazioni, i sentimenti, le esperienze psichiche l’ «io rimane nondimeno il soggetto originale di ciò che si eleva o cade» (L. Binswanger 2012: 42). Binswanger che aveva inscritto per lungo tempo la sua visione nel quadro della filosofia di Heidegger, si allontana poco a poco dalla sua concezione a carattere ontologico, per immergerla in casi concreti. Tutto un vocabolario situa nello spazio gli atti del dasein del paziente: altezza vertiginosa, ascensione, altitudine, infinito, ecc. (L. Binswanger 1971: 237-245). Si può supporre che il desiderio di evadere, di astrarsi, in pazienti psichiatrici ne determini il lessico.
Più in generale negli scritti autobiografici il riferimento al corpo come veicolo di esperienze che lo hanno traversato appare importante.
5- Il ‘vero: cosa l’io dà a vedere o maschera. La trasparenza e l’ostacolo
Il vero è il tema fondativo di ogni autobiografia. Esso può essere garantito dal patto che lo scrivente sottoscrive col lettore. L’opera di Philippe Lejeune docet (Ph. Lejeune: 1975).
Il tema del vero traversa potentemente la scrittura autobiografica. Scrivere di sé e sostenere che sia vero, implica un patto con tutta una serie di conferme e manovre complesse.
Le autofinzioni intendono sfuggire a questo criterio.
Le Confessions di Rousseau, un classico della scrittura autobiografica, nascono come una forma di esternazione di sé che rende pubbliche delle incertezze, al fine di giustificare delle azioni che nel quadro del suo modo di esporre dovrebbero essere giustificate. La trasparenza e l’ostacolo chiama Starobinski questa attitudine. «Rousseau désire la communication et la transparence des cœurs; mais il est frustré dans son attente, et, choisissant la voie contraire, il accepte – et suscite - l’obstacle , qui lui permet de se replier dans la résignation passive et dans la certitude de son innocence» (J. Starobinski 1971 : 1 - il corsivo è nel testo). Ogni scrittura - e a fortiori quella autobiografica - espone e cela delle realtà che tuttavia si intravedono. Il velo di Poppea, insomma, che lascia vedere e non vedere, destando, sollecitando più interrogativi che certezze (J. Starobinski 1961).
Dirimere e comprendere la distinzione fra vero e falso richiede l’impiego di molte coordinate (N. Frogneux 2021), non è sottoponibile ad un giudizio automatico né in campo storico, né autobiografico (si veda: Carlo Ginzburg, Il filo e le tracce. Vero falso finto 2015).
Anche adottare un linguaggio codificato (come rilevano Lotman e Bachtin: si veda infra) può essere un mascheramento, o un’illusione che l’abito faccia il monaco.
Spesso il voler mostrare con forza di dire il vero si realizza anche attraverso il rinvio ai realia, a quanto è visibile e concreto. In tante autobiografie gli scriventi inseriscono documenti anagrafici. Con estrema precisione menzionano date e luoghi per rendere più credibile la propria testimonianza (B. Barbalato 2009).
6- Come gli scriventi concepiscono l’egemonia adottando determinate forme codificate
Lotman scrive che un grande uomo o un brigante deve trovare un buon motivo per ritenersi un individuo che abbia diritto alla biografia (J. Lotman 1985: 194). Scrivere storie di vita, sia biografiche che autobiografiche, richiede una scelta formale. Per questo sostiene Lotman per un contadino usare opportunisticamente la lingua della chiesa o quella burocratica gli ha permesso di inscriversi in una legittimità. Si pensi anche a quanto Bachtin (103) esprime sulla cultura dal basso, sul contadino che, vivendo in un contesto isolato, crede che ogni lingua corrisponda esattamente alla realtà che vuole designare.
Sullo stesso convincimento si muove André Gide che afferma che le fonti dal basso sono spesso formalmente la copia della copia (A. Gide 1997 [1926-1950]: 572). Gide sgombra il campo dall’equivoco dell’autenticità del documento di gente comune. Nessuna scrittura è spontanea.
Tantomeno quella di chi non ha una pratica scritturale. I codici a cui si fa ricorso possono essere considerati un passe-partout di legittimazione del proprio racconto e della concezione della verità, che ne verrebbe così avvalorata (si veda A. Castillo Gómez 2016 e V. Sierra Blas 2018).
Altra importante annotazione di Bachtin riguarda la diversità nel concepire e nell’osservare un cammino di vita oggi e nell’antichità. Nell’antichità lo spazio pubblico e privato veniva concepito come una stessa cosa. Nel rappresentarsi non vi era uno scarto fra un sé interno ed uno esterno. Il topos era l’agora (Ibid.: 279-282).
Questo call invita a presentare delle proposte rivolte a rilevare il modo, la forma, le finalità con le quali degli scriventi e degli scrittori si esprimono sul sé, e intende rilevare le contaminazione e le interferenze fra gli uni e gli altri.
Oltre a quanto esposto, un altro particolare rilievo si intende dare al come il racconto di sé si proponga come apertura verso l’avvenire, come lasci trapelare le sue attese. Vi è nelle scritture un quid, un vuoto, i cui contorni, le cui latenze sono difficili da intercettare, ma che tuttavia sussistono. I desideri non sempre vengono esposti apertamente, spesso si possono intravedere fra le righe di un testo. Come scrive Binswanger lo scrivere di sé è un lasciare-venire-a-sé-l’avvenire (1971: 261). Come intendere, come cogliere questo aspetto ?
Michail Bachtin 1979 [1975- Mosca 1955]:1975], «La parola nella poesía e la parola nel romanzo», 83-108, «La biografía e l’autobiografia antica», 277-293, in Id., Estetica e romanzo, trad. di Clara Strada Janovic, Torino, Einaudi.
Beatrice Barbalato (2009), «L’ipersegnicità nelle testimonianze autobiografiche», 387-400, in Silvia Bonacchi (dir.), Introd. Anna Tylusińska-Kowalska, Le récit du moi: forme, strutture, modello del racconto autobiografico, in Kwartalnik neofilologiczny, Polska Akademia Nauk, Warzawa 29-30 April 2008. editor: Franciszek Grucza.
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Roland Barthes 1998 [« Tel Quel », 1964], «Écrivains et écrivants», in Essais critiques, Paris, Seuil.
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Jurij M. Lotman 1985, «Il diritto alla biografia», in Id., La semiosfera-L’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, a cura e trad. dal russo di Simonetta Salvestroni, Venezia, Marsilio.
Claudio Magris 1989, Lontano da Dove, Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale, Torino Einaudi.
Paula Sibilia 2008, O show do eu: a intimidade como espetáculo, Rio de Janeiro, Nova
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Verónica Sierra Blas 2016, Cartas presas. La correspondencia carcelaria en la Guerra Civil y el
Franquismo, Madrid, Marcial Pons.
Jean Starobinski 1961, «Le voile de Poppée», 7-27, in Id, L’oeil vivant, Gallimard, 1961.
-1971, «Avant propos», 9-10, in Id., Jean Jacques Rousseau: la transparence et l’obstacle, Gallimard.
Direzione scientifica:
Beatrice Barbalato, Mediapolis.europa ass, cult., Université catholique de Louvain
Antonio Castillo Gómez, Universidad de Alcalá
Nathalie Frogneux, Université catholique de Louvain
Verónica Sierra Blas, Universidad de Alcalá
Convegno organizzato da:
Mediapolis.Europa (Irene Meliciani: managing director)
Mnemosyne o la costruzione del senso, Presses universitaires de Louvain
Grupo de Investigación « Lectura, Escritura, Alfabetización» (LEA), Universidad de Alcalá
Seminario Interdisciplinar de Estudios sobre Cultura Escrita (SIECE), Universidad de Alcalá
Questo convegno è inserito nella attività del progetto di ricerca Vox populi. Espacios, prácticas y
estrategias de visibilidad de las escrituras del margen en las épocas Moderna y Contemporánea
(PID2019-107881GB-I00), finanziato dal Ministerio de Ciencia e Innovación e dall’Agencia Estatal
de Investigación (Spagna).
Indicazioni per l’invio di una proposta
Le lingue ammesse per gli interventi sono: italiano, spagnolo, francese, inglese, portoghese. Ognuno potrà esprimersi in una di queste lingue. Non ci sarà traduzione simultanea. È auspicabile una comprensione passiva di queste lingue.
A) Scadenza per presentare le proposte: 30 luglio2023. La sinossi comprenderà 250 parole (max), con la citazione di due testi di riferimento, e un breve CV (max : 100 parole), con la menzione eventualmente di due pubblicazioni proprie, siano esse articoli, libri, video.
Il comitato scientifico leggerà e selezionerà ogni proposta che dovrà essere inviata alla Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. , Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Per ogni informazione:
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Entro il 5 Agosto 2023 verrà data la risposta sull’accettazione.
B) Per quanto concerne l’iscrizione al colloquio, una volta accettata la proposta le quote sono:
Prima del 30 settembre 2023: 150,00€
Dal 1er al 30 Ottobre 2023: 180,00€
L’iscrizione non può essere accettata in loco
Per i dottorandi :
Prima del 30 settembre 2023 : 90,00€
Dal 1er al 30 Ottobre 2023 : 110,00€
L’iscrizione non può essere accettata in loco
Una volta stabilito il programma, non sono consentiti cambiamenti.
Per le informazioni sui simposi organizzati nei precedenti anni dall’Osservatorio della memoria autobiografica scritta, orale e iconografica, visitare il sito:
http://mediapoliseuropa.com/
Per le informazioni riguardanti le attività su questo tema in Spagna:
http://grafosfera.blogspot.com/
PAST EVENTS
- Mediapolis.Europa in radio fahrenheit
- Prof Beatrice Barbalato à France Culture La conversation scientifique