La malinconia del sapere L’autobiografia sotto il segno di Saturno
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Mnemosyne o la costruzione del senso
Rivista consacrata allo studio dell’autobiografia
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La malinconia, esacerbata coscienza di sé
Peu de gens devineront combien il a fallu être triste pour entreprendre de ressusciter Carthage.
Gustave Flaubert Lettre à Ernest Feydeau, le 28 novembre 1859
Questo call invita a riflettere sulla malinconia, e in particolare sulla malinconia del sapere. Un sentimento che sopravviene in particolare dopo il Rinascimento, come vedremo, periodo in cui rifacendosi all’Antichità classica la malinconia non viene vista come una patologia ma come una estrema ed esacerbata percezione di sé. Due le principali figure di riferimento: Democrito ed Eraclito. Il primo ha incarnato la malinconia col riso, il secondo col pianto.
Ippocrate, che secondo la tradizione era andato a rendere visita a Democrito, munito di elleboro (l’erba che si propinava ai disturbati di mente), finisce col riconoscerlo come il più saggio di tutti per essere capace di un giudizio ironico sul mondo, sui contemporanei, su se stesso. La malinconia come profonda consapevolezza, senso e cifra stessa dell’esistenza.
Il Rinascimento abbandona l’equazione accidia = peccato, postulata nel Medio Evo. Dante colloca gli accidiosi all’inferno, nel ghiaccio. Il Secretum (1342-1343) di Francesco Petrarca segna un momento di passaggio fra Medioevo e Umanesimo. Malgrado la sua apparente contrizione per sentirsi un peccatore al cospetto della Verità, Petrarca afferma di saper gestire in piena consapevolezza la malinconia del sapere, e non a caso si rivolge a Sant’Agostino, suo fantomatico confessore, autocitandosi. Si serve così dell’accusa per auto-elogiarsi (Barbalato. B. 2006).
Per essenzializzare l’argomentazione su questo tema possiamo dire che da una parte troviamo Aristotele, Ficino, Milton, Kant; dall’altra Freud, Binswanger, Lacan, Tellenbach, e altri professionisti della psiche. La malinconia è stata studiata sotto angolazioni diverse e con interpretazioni che hanno subito variazioni nel tempo.
Nel campo psicanalitico e psichiatrico la malinconia è stata osservata e curata soprattutto come una patologia, tralasciandone le componenti creative. È considerata da Freud un lutto senza oggetto, che si esprime con forme di autodenigrazione e disistima di sé. Freud (1917), Lacan (1966), Binswanger (1960), Tellenbach (1961-1983), identificano nella malinconia il dolore per una perdita non identificabile. Binswanger spiega la malinconia col passaggio del soggetto dallo status primordiale, in cui l’essere era indistinto, un unus, all’operazione di espulsione o accettazione di elementi che lo hanno portato al riconoscimento di una realtà esterna a sé stesso. La domanda è se la malinconia sia una psicosi ordinaria (dunque analizzabile di per sé) o è lo sfondo di ogni psicosi (Lacan J. 2005 : 149-150).
Ludwig Binswanger parla di stile del nostro proprio modo d’esperienza (stile è una parola che ripete più volte) indicando così una particolare propensione del malinconico a coniare, fagocitare globalmente ogni atto del vivere (Binswanger L. 1987 ed. fr.: 51-54 [1960]). La locuzione è importante perché al di là del fatto che Binswanger, psichiatra, studi e curi la malinconia, riconosce come essa non sia un trauma isolabile, né una manifestazione patologica intermittente, ma una cifra di alcuni individui e della loro weltanschauung.
Avendo qui accennato a tipi di impegno intellettuale di natura diversa, cioè da una parte filosofia, storia della letteratura e dell’arte, e, da un’altra, la psichiatria/psicanalisi, le conclusioni non sono conseguentemente associabili. Tuttavia, possono essere stabilite delle passerelle.
Marsilio Ficino e Jean Starobinski, letterati e medici, si pongono in questo entre-deux. Jean Starobinski, medico e letterato, ha indagato attraverso un vasto studio le varie sfaccettature del tema. L’encre de la mélancolie. La mélancolie, un mal nécessaire?, Paris, Seuil, 2012 (in questo libro Starobinski raccoglie delle riflessioni precedenti al 2012) è un titolo che porta a riflettere sul binomio scrittura/malinconia, e, come suggerisce il sottotitolo, la malinconia sembra indispensabile a dare consistenza al pensiero.
Su questo tema Aristotele ha avuto dei seguaci soprattutto nel Rinascimento. Nei Problemata XXX, I, Aristotele considera la malinconia come un umore naturale, il cui eccesso non fosse necessariamente nocivo, ma poteva al contrario essere la condizione del genio poetico o filosofico.
Sul solco del pensiero antico, e di Aristotele, Marsilio Ficino, medico ed un umanista, nel primo dei suoi tre libri della vita (De vita libri tres, pubblicato nel 1489) dedica diverse riflessioni alla malinconia. Illa heroica, Melancholia generosa, è definita dai letterati, dai Musarum sacerdotes, cioè una forza intellettuale, un segno della dignità dell’uomo, per riprendere il titolo di un’opera di Pico della Mirandola (1485-1486). (Si veda il capitolo “Melancholia generosa”, (Klibansky, R.; Panofsky E.; Saxl, F. 1989 ed. fr. : 389-432- cap. II , II [1964]). Ficino suggerisce cure, mette in relazione costante corpo e anima, affinché l’inquietudine e la tensione di una coscienza malinconica possano essere alleggerite. Lui stesso è sotto il segno di Saturno. L’anima del malinconico per Ficino si ritira da fuori a dentro come convergendo al punto centrale di una circonferenza e che mentre è così concentrata sulla speculazione vi resta fermamente, e per dirlo in maniera più esatta, al centro proprio dell’uomo. (Cap. IV del libro I. Ficin 2000: 29, ed. fr.). La malinconia infine è una forza centripeta, che porta a polarizzare tutto verso un centro, a rafforzare la percezione della propria persona. La malinconia per Ficino è emblema e patto fermo dell’uomo con sé stesso. Si dice che avesse fatto dipingere sul muro le figure di Democrito ed Eraclito.
John Milton nei suoi poemi pastorali (1645-1646) L’Allegro et Pensieroso dà una valore positivo e spirituale all’umore malinconico: « che corrisponde essenzialmente a una esacerbazione della coscienza di sé » scrivono Klibansky, Panofsky, Saxl, a proposito di queste opere di Milton appunto (1989 : 375[ 1964]).
Quasi con le stesse parole, circa due secoli dopo Ficino, e un secolo dopo Milton, Kant in Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime (Cap. II, 40-41[1764]) sottolineerà ancora una volta la convergenza nel malinconico di ogni percezione ed esperienza verso un nucleo centrale del sé stesso. Il malinconico, Kant afferma, non si preoccupa dell’opinione altrui, ma dipende esclusivamente dal suo stesso giudizio. La malinconia costituisce, in altri termini, un atto di concentrazione sulla propria coscienza.
Come hanno osservato diversi studiosi (tra cui Ágnes Heller, Eugenio Garin, autori di opere sull’uomo del Rinascimento: Heller 1967, Garin 1998, e ben prima Jacob Burckhardt, 1860) il Rinascimento « è l’epoca delle grandi autobiografie, anzi è l’età delle autobiografie », afferma Garin (Garin E. 1998: 11) perché, sostiene, l’uomo moderno era un uomo che si veniva facendo, era cosciente di questo suo farsi e lo raccontava. Si può sottolineare quanto questo periodo veda fiorire delle apologie, delle narrazioni autobiografiche che giustificano il proprio operato e intendano spiegarlo (cfr. fra varie apologie di sé stesso: Ficino, Lorenzaccio, Cardano). In questa grande fucina prometeica, la malinconia, come illustra bene il libro di Ficino, viene riconosciuta come un fattore intrinseco alla genialità, e come grande slancio dell’uomo ad auto conoscere sé stesso e i mezzi che ha costruito per il sapere.
La visione pessimista della malinconia continua ad esistere, ma in una posizione assai poco dominante nel Rinascimento.
Il tema che il call propone si rivolge ad una concezione della malinconia post- medioevale, post Rinascimentale e che investe anche la nostra cultura contemporanea: la malinconia del sapere considerata una delle espressioni del Barocco, e che forse bisognerebbe inquadrare piuttosto nel Manierismo. Come spiega Daniel Arasse, il Manierismo è introspettivo, è involuzione del movimento, mentre il Barocco si apre verso l’esterno (Arasse D. 2004: 202).
La malinconia del sapere prende forma in opere scritte e figurative in chiave autobiografica, soprattutto a partire dal Manierismo, e dalla Riforma e Controriforma. Nel periodo che succede al Rinascimento, l’era che chiamiamo moderna, l’uomo elabora una visione di sé che ha molto a che fare con gli strumenti materiali e le tecniche di cui si è andato attrezzando. L’angelo di Dürer, – figura considerata un’autorappresentazione dell’artista da diversi studiosi –, è dubbioso dei mille strumenti di cui dispone. Astronomia e astrologia sono già viste come delle chimere. Anche se le interpretazioni dell’opera non sono tutte convergenti, non c’è dubbio che Dürer metta in scena la riflessione sull’importanza della conoscenza del non-sapere e la non accessibilità alla metafisica. Lo fa ponendo in auge tutti i simboli che nel passato hanno designato la malinconia, li osserva con perplessità, ma non chiude lo sguardo al futuro. « Questo limite non è per l’artista fonte di disperazione, la conoscenza del non-sapere è per lui al contrario sapere supremo » (Schuster P.-K. 2005 : 94). Questa incisione ricorda Schuster è stata considerata come un autoritratto spirituale di Dürer, e la raffigurazione dell’angelo malinconico come una personificazione dell’artista (Ibid.:101). L’artista rinascimentale, demiurgo, estremamente fiducioso nelle sue facoltà, comincia a riflettere criticamente sugli strumenti che ha creato, e a mettere in discussione la visione ottimistica dell’Umanesimo che posizionava l’uomo al centro del cosmo.
Parlare di malinconia significa chiamare in causa una vastissima bibliografia. Anatomia della malinconia (1621) di Robert Burton costituisce una summa di quanto fino al 1600 era stato scritto. Burton fa raffigurare il proprio ritratto in copertina col nome di Democritus Junior. Scrive in prima persona e giustifica di essersi servito passo passo del pensiero altrui, in una vertigine di riferimenti.
Il Barocco moltiplica le riflessioni/riflessi sulla malinconia (si veda tra altri il recente Aurelio Musi, Malinconia barocca, 2023). Dopo l’uomo demiurgo del Rinascimento, il periodo successivo si getta nella sperimentazione, nell’indagine della materia, e delle forme. L’uomo fa i conti con gli straordinari successi scientifici e artistici – Galileo, Copernico, Bernini e moltissimi altri pensatori – e coi suoi fantasmi anche (si veda l’opera d’Athanasius Kircher 1602-1680), che portando a dei limiti estremi tutte le conoscenze del Rinascimento, comincia a sentire il gap fra le sue aspirazioni, i mezzi sempre più avanzati di cui dispone, e i risultati, che, seppur straordinari, non si armonizzano in pieno col suo sé stesso. Già un secolo prima Ficino (cap. 2 del libro I) aveva allertato contro l’astrazione eccessiva: quando l’uomo non cura più direttamente gli strumenti di cui si serve (pennelli, cavalli, liuti, ecc.), ma teorizza e basta, la malinconia esprime il disagio del sapere.
Si assiste, dunque, al seguente passaggio: dall’idea della malinconia come un deficit nell’operare, l’accidia, alla malinconia del sapere, cioè alla sofferenza per l’eccesso di attivismo.
Il rapporto con gli strumenti, le tecniche, è capitale. Già il Principe al suo apogeo aveva sentito l’esigenza di far convivere la sua vita nella pubblica piazza con la sua vita privata, riparandosi e meditando nello studiolo, un piccolo ambiente senza finestre dove egli conservava ciò che soggettivamente gli era più caro, opere e reperti antichi (cfr. Arasse D. 2004: 133). Cioè gli oggetti prendono sempre più importanza, intesi come polo esteriore di appoggio alla infaticabile ricerca di interlocuzione col mondo dell’esperienza (Meliciani A. programma televisivo in 25 puntate, Rai-Radiotelevisione italiana, 1995).
disagio faustiano? A Faust e alla malinconia del sapere, rinviano anche Klibansky, Panofsky, Saxl, in più passaggi della loro straordinaria opera Saturno e la Malinconia già citata, (cfr.: Parte 3, cap. 1. Ed. fr.: 384). Faust, figlio della Riforma, dell’etica del capitalismo, si affanna per ottenere ogni strumento di conoscenza, vendendo la propria anima al diavolo.
« [...] quando [Faust] – scrive Jean Clair – nel testo di Marlowe, per accrescere il suo tesoro, comanda a Satana di perlustrare gli oceani per trovarvi le perle d’Oriente o di frugare in tutti gli angoli del Nuovo Mondo o di volare in India per cercarvi dell’oro, non fa ancora che prolungare la frenesia accumulatrice dei Prìncipi di questo mondo. Ma quando comincia a voler sperimentare e trasformare i materiali che ha riunito, il gabinetto del letterato si trasforma in fucina, dove brucia un fuoco prometeico. La metamorfosi del tema è decisiva, facendoci passare da un’età teologica a un’età tecnologica » (Clair J. 2005 : 2004. Il corsivo è mio). L’inaugurazione dell’età tecnologica produrrebbe una malinconia dovuta alla percezione della sproporzione fra l’uomo e i mezzi che lo disavanzano, e all’abbandono della teologia.
Il secondo aspetto della malinconia è legato a Crono, Saturno nella cultura latina, il pianeta dei malinconici. La pressione del tempo, lo sfruttamento intensivo del sapere genera malessere, e fa interrogare l’uomo sulla propria efficienza. È un tema che diventa dominante con la Riforma, l’etica protestante, il capitalismo. Saturno-Crono è stato da sempre rappresentato come protettore delle ricchezze (e dell’avarizia). Spiega Dürer stesso sulla sua incisione Melencolia I, che la chiave simbolizza la potenza, la borsa la ricchezza (Klibansky R.; Panofsky E.; Saxl F. : Cap. II 1: 447 dell’ ed. fr.). Sono delle simbologie che provengono dall’antichità, che tuttavia Dürer ricontestualizza nell’atmosfera del nascente riformismo protestante.
Lessing fa riferimento nella diciassettesima lettera sulla letteratura moderna (1759) a un Faust tedesco venuto in sue mani. La gara di velocità che si svolge fra sette diavoli è vinta dai due che proclamano uno di avere la velocità del pensiero umano, l’altro la velocità dell’uomo di passare dal bene al male (Lessing G. E. 1876: 35 ed. fr. [1759-1765]). La velocità, la durata, crono, dunque. La grande chimera di cui Faust si fa interprete è che il tempo avanzando corrisponda al progresso. Ma lui stesso ne sarà schiacciato e avrà bisogno del soccorso esterno. L’attivismo estremo postulato dal protestantesimo/capitalismo induce anche alla consapevolezza dei limiti. La Riforma protestante è del 1517 e la Melencolia I di Dürer del 1514, lo spirito riformista serpeggiava. L’angelo di Dürer è raffigurato fra tanti strumenti, ma come osserva Walter Benjamin sembra non sapere più come utilizzarli! Sulla Melencolia I di Dürer, sull’aspetto autobiografico si rinvia ancora una volta al testo già menzionato di
Klibansky, Panofsky, Saxl. Già dagli albori del capitalismo si afferma la volontà di operare, di collezionare, di eccedere, e allo stesso tempo si avverte il disagio dell’accumulazione.
Melencolia I – scrive Jean Clair – segna questo momento molto breve e singolare del pensiero occidentale quando l’artista, l’homo artifex, si crede diventato multimatematico, il matematico, l’ingegnere, il geometra, il botanico, e il medico, capace di acquisire la conoscenza e la misura di tutte le cose, numero et pondere, mentre scopre, che nessuna mathesis universalis è capace di riordinare e di mettere insieme le desjecta membra del reale» (Clair J. 2005: 206). L’angelo di Dürer (1514) è circondato da strumenti che potrebbero essere quelli dello studiolo del Principe: l’inchiostro, il compasso, la sfera, la bilancia, la campana, l’athanor – il forno alchemico –, è cupo, indispettito, ma non depresso, ha piuttosto uno sguardo che vorrebbe vedere lontano. Sulla sinistra c’è la scritta Melencolia tenuta da un pipistrello, il mammifero che compare all’imbrunire, momento in cui si affaccia questo sentimento. Il cane, dotato di perseveranza e fine odorato, simboleggia il ricercatore infaticabile, rileva Benjamin (Benjamin W.1985: 166 ed. fr. [1925]). L’angelo però è evidentemente in preda a molta perplessità. Jean Clair contrappone questa immagine non rinunciataria ma inquieta, all’immagine di un vecchio di Leonardo, pensoso, malinconico (disegno a penna. Londra, Windsor Castle, 1513 circa):
«Là dove l’angelo di Dürer, lo sguardo perduto nel vago, sembra aver rinunciato all’arduo lavoro della geometria e dell’architettura, il vecchio di Leonardo sembra essere assorbito in un’osservazione precisa. È la natura dei fenomeni fisici che egli interroga, e non il senso metafisico di un universo infinito. Là dove l’angelo di Dürer è un discepolo di Platone, che esercita una geometria ideale per mezzo di strumenti, righelli e compasso, che non la dimostrano, il vecchio di Leonardo si afferma come un discepolo di Aristotele che indaga una scientia experimentalis. Osserva piuttosto che contemplare. Anche se Leonardo ha piena coscienza della morte e della trasformazione. Dürer e Leonardo sono stati affascinati dai diluvi, dalle catastrofi. Il vecchio di Leonardo si fonde in una saggezza fatta di rassegnazione e di rispetto» (Ibid.: 207).
Il vecchio di Leonardo come l’angelo di Dürer poggia la testa su una mano, un’icona che troviamo in tante opere figurative. Più precisamente su un pugno per Dürer. Motivo antichissimo presente nei sarcofagi egiziani, segno di dolenza, può indicare stanchezza o riflessione creatrice, come si suggerisce nell’opera Saturno e la malinconia (cap. I 1: 450 ed. fr.).
Sia accennato fra parentesi: lo stato oscillante fra una visione creativa e una distruttiva accompagna molte opere pittoriche. Una fra tutte, quella di De Chirico, Mistero e malinconia di una strada (1914, coll. privata). Una ragazzina che gioca col cerchio si dirige verso la zona d’ombra. De Chirico adotta una prospettiva per la parte destra del dipinto, quella nell’oscurità, che va verso il basso e un’altra per la parte sinistra luminosa, verso l’alto, riproponendo forse la duplice visione di possibili stati d’animo dell’uomo malinconico.
Senza proporre dei parallelismi forzati, si può tuttavia affermare che alcuni elementi di disagio, che si sono manifestati dal periodo post-rinascimentale che inaugura l’era moderna, sono rintracciabili oggi in varie autobiografie di uomini di scienza: la pressione del tempo, la gestione degli strumenti, l’accumulo, il rapporto con l’oggetto, le tecniche che possono agire fuori dal controllo del loro creatore.
Ciò che interessa il call è indagare come il soggetto si riconosca nella malinconia del sapere, in un rapporto con la scienza, che è certamente complicato e discontinuo, come illustra Foucault nel testo Archéologie du savoir (1969).
Charles Darwin, Enrico Fermi, Ettore Majorana, Nikola Tesla, Robert Oppenheimer, Rita Levi Montalcini, nei loro scritti autobiografici hanno espresso la malinconia del sapere, e mai come nella nostra contemporaneità il rapporto fra l’uomo e l’oggetto delle sue creazioni si è rivelato fatale. Darwin rimpiange di aver atrofizzato il cervello verso la percezione dell’estetica a forza di lavorare come un macinino (The Autobiography of Charles Darwin, 1887).
Questo call invita a prendere in considerazione delle opere di autoriflessione su questo argomento in particolare di scienziati di scienze matematiche e naturali, senza escludere a priori quelle di gente comune, letterati e artisti. Verranno accettate le proposte che intendono illustrare in quale modo uno stile, una modalità semantica contraddistinguano un racconto di vita improntato alla malinconia del sapere.
Daniel, Arasse, « Pour une brève histoire du maniérisme », 188-202, « La règle du jeu », 125- 138, in id., Histoires de peintures, Paris, Editions Denoël, 2004.
Beatrice Barbalato, « Il pirronismo del Petrarca, ovvero il Secretum come aporia », 99-115, in Mariapia Lamberti (dir.), Atti del convegno: Petrarca y el petrarquismo en Europa y América, UNAM, Universidad Nacional Autónoma de Mexico (18-23 ottobre 2004), Mexico City, UNAM, 2006.
Walter Benjamin, Origine du dramme baroque allemand, tr. Di Sybille Muller in coll. con André Hirt, Paris, Flammarion, 1985 [1925].
Ludwig Binswanger, Mélancolie et manie, trad. dal tedesco di Jean-Michel Azorin e Yves Totoyan, rivisto da Arthur Tatossian, PUF, 1987 [1960].
Robert Burton, Anatomy of Melancholy, 1621.
Jean-Marc Chatelain (a cura di), Baudelaire. La modernité mélancolique, BnF Éditions, 2021.
Jean Clair, «La mélancolie du savoir», 220-208, a cura di Id., Mélancolie, génie et folie en Occident, Paris, Gallimard, Réunion des Musées Nationaux, 2005.
Marsilio Ficino (consultata l’ediz. francese) : Marsile Ficin, Les trois livres de la vie, trad. de Guy Le Fevre de la Boderie, Paris, Fayard, 2000, [riedizione del testo del MDLXXXII. L’originale in latino De vita libri tres, 1489].
Jon Fosse, Melancholia, trad. di Cristina Falcinella dal nynorsk, nuovo norvegese, Roma, Fandango, 2009 [1995].
Michel Foucault, L'Archéologie du savoir, Paris, Gallimard, « Bibliothèque des sciences humaines », 1969.
Sigmund Freud, Trauer und Melancholie, 1917.
Eugenio Garin, L’uomo nel Rinascimento, Bari-Roma, Laterza, 1998.
Immanuel Kant, Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen, 1764, [Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime].
Raymond Klibansky, Erwin Panofsky, Fritz Saxl, Saturne et la Mélancolie, trad. de l’anglais et d’autres langues par Fabienne Durand-Bogaert et Louis Évrand, Paris, Gallimard, 1989 [1964]. Si fa riferimento nell’appel a questa edizione.
Ed. it. Saturno e la Malinconia, trad. Renzo Federici, Torino, Einaudi, 2002 [1964].
Jacques Lacan, Le Séminaire, livre XXIII, Le symptôme, Paris, Seuil, 2005.
Gotthold Ephraim Lessing, «Dix-septième lettre. Gottsched considéré comme réformateur du théatre allemand», 31-37, in Id., Lettres sur la littérature moderne, et sur l’art ancien. Estratti tradotti da G. Cottler, Paris, Librairie Hachette, 1876. [Literaturbriefe, 1759-1765]. http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k28071t/f46.image.r=lessing%20lettres
Alessandro Meliciani, La Stanza del Principe, 25 puntate televisive, RAI-RadioTelevisione Italiana, 1995.
Aurelio Musi, Malinconia Barocca, Vicenza, Neri Pozza, 2023.
Peter-Klaus Schuster, « Melencolia I. Durer et sa postérité », 90-110 , trad. dal tedesco di Jeanne Étoré-Lortholary, in Jean Clair, Mélancolie, génie et folie en Occident, Paris, Gallimard, Réunion des Musées Nationaux, 2005.
Jean Starobinski, L’encre de la mélancolie. La mélancolie, un mal nécessaire?, Paris, Seuil, 2012.
Hubertus Tellenbach, Melancolia : storia del problema, endogenicità, tipologia, patogenesi, clinica, a cura di Giovanni Stanghellini intr. di Viktor Emil von Gebsattel revisione della traduzione e traduzione dei testi integrativi a cura di Lorenzo Ciavatta, Roma, Il pensiero scientifico, 2015 [1961].
Le lingue ammesse per gli interventi sono: italiano, spagnolo, francese, inglese. Ognuno potrà esprimersi in una di queste lingue. Non ci sarà traduzione simultanea. È auspicabile una comprensione passiva di queste lingue.
A) A) Scadenza per presentare le proposte: 30 luglio 2024 La sinossi comprenderà 250 parole (max), con la citazione di due testi di riferimento, e un breve CV (max : 100 parole), con la menzione eventualmente di due pubblicazioni proprie, siano esse articoli, libri, video.
Il comitato scientifico leggerà e selezionerà ogni proposta che dovrà essere inviata alla Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. , Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Entro il 31 Agosto 2024 verrà data la risposta sull’accettazione.
B) Per quanto concerne l’iscrizione al colloquio, una volta accettata la proposta le quote sono: Prima del 30 settembre 2024: 160,00€
Dal 1er al 30 Ottobre 2024: 190,00€ L’iscrizione non può essere accettata in loco
Per i dottorandi :
Prima del 30 settembre 2024: 100,00€ Dal 1er al 30 Ottobre 2024: 110,00€
L’iscrizione non può essere accettata in loco
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